Nell’ultimo appuntamento dedicato all’Imperatore, Alessandra Necci e Giovanni Villa esaminano la parte finale dell’epopea, e poi la nascita del mito successivo, che formerà di sé tutto l’Ottocento. Un mito che parte naturalmente dall’Aigle, l’Aquila, ma prosegue con l’Aiglon, l’Aquilotto, secondo il titolo del celebre dramma di Rostand. Senza dubbio, infatti, la triste storia di Napoleone II – colui del quale il padre diceva: “Lo invidio, io ho dovuto correre dietro alla gloria, lui non dovrà che tendere le braccia. Io sono stato Filippo, lui sarà Alessandro” – è stata uno delle vicende romantiche per eccellenza, assurta a metafora della tirannia esercitata dai vecchi imperi, che si oppongono alla libertà dei popoli e degli Stati.
La narrazione prende le mosse dal ritorno delle ceneri di Napoleone da Sant’Elena, nel 1840, e prosegue con il ritorno di quelle del figlio, avvenute cento anni dopo. Napoleone II è infatti morto a Vienna a 21 anni ed è stato sepolto nella Cripta dei Cappuccini. Poi si torna indietro, al Consolato e all’Impero, e al desiderio di Bonaparte di avere un erede cui lasciare tutto. Giuseppina non può più dargli figli, per cui alla fine (e a malincuore), egli si convince della necessità di divorziare. Commette così uno sbaglio da parvenu, perché sposa la figlia dell’imperatore d’Austria, Maria Luisa d’Asburgo. L’Austria è da sempre la sua grande nemica e quelle nozze sono un modo per prendere tempo e armarsi nuovamente. Napoleone se ne accorgerà a sue spese.