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Vi svelo Norma, travolta da un insolito destino. Il racconto dell’opera di Alessandro Viscogliosi

di Luca Baccolini >

Tutti pazzi per l’opera, soprattutto se a raccontarla sono voci che l’opera la amano. Anzi, la idolatrano. Come Alessandro Viscogliosi, architetto e storico, chiamato stasera alle 20.30 sul palco dell’Auditorium Manzoni per entrare nel mondo di “Norma”, prossimo titolo al Comunale Nouveau (dal 18 al 23 marzo, dirige Pier Giorgio Morandi, la regia è di Stefania Bonfadelli). Con lui c’è Giovanni Carlo Federico Villa, co-autore di un format ideato da Barbara Abbondanza che in passato ha visto la partecipazione di Alessandra Necci e che ha sempre registrato il tutto esaurito. Anche stasera l’entrata è gratuita (ma serve la registrazione sul sito eventbrite.it).

“Norma, o del morir cantando”, s’intitola la vostra serata tra arte e musica. In effetti la morte della sacerdotessa è scolpita negli archetipi operistici. Lei, Viscogliosi, come la inquadra?

“Farla morire sul rogo, e in quel modo, segnerà in maniera decisiva l’immaginario di Wagner, che non a caso per “Norma” aveva un debole più volte confessato. Brunnhilde, al termine del lungo viaggio dell’Anello del Nibelungo, finirà anche lei dentro il fuoco. E la morte di Isotta, per quanto trasfigurata, è una sorta di fuoco interiore che arde”.

Norma è diventata il titolo belliniano per eccellenza. Ma il merito va condiviso con Felice Romani, librettista spesso ingiustamente ridimensionato.

“È così. Il mio intervento servirà anche a ridare a Romani quel che è di Romani. Oggi possiamo sorridere pensando a quanti personaggi un po’ ridicoli sono comparsi nei libretti d’opera italiani, ma quello di Romani è un libretto enorme, con piena dignità letteraria. Dirò di più: se si cominciasse a studiare l’opera per quello che è, cioè l’arte leader dell’Ottocento italiano, si scoprirebbero capolavori supremi dal punto di vista letterario. Non solo di Romani, ma anche di Piave o di Maffei, che da Shakespeare fu capace di trarre sintesi mirabili”.

Perché la librettistica “fa paura”?

“Lunga questione: intanto c’è un pregiudizio di fondo sulla letteratura ottocentesca italiana, che è sempre ancorata solo a Manzoni. Ma ci siamo mai chiesti che librettista fantastico sarebbe stato Manzoni? Io penso che quando finirà la ritrosia sul nostro Ottocento si potrà riconsiderare serenamente anche un gigante come Romani. E tanti altri. Ma io sono di parte: all’opera riporterei il pasto nei palchi, come si faceva una volta, quando ci si andava per piacere, non per dovere”.

Lei, architetto, come ci è finito dentro?

“Lo spettacolo d’opera è totale e avvolgente, coinvolge pittura, scultura e architettura, recitazione, scenotecnica, canto, danza, e tutto quello che le arti comportano. In uno spettacolo d’opera fatto bene c’è di tutto, in uno spettacolo d’opera fatto male c’è perlomeno l’opera”.

Norma (di Bellini-Romani) è tratta dalla tragedia “Norma, ou L’infanticide” di Louis-Alexandre Soumet. Però nell’opera l’infanticidio non c’è. 

“Le differenze con la fonte originale sono tante. In Soumet non c’è il rogo finale (Norma prima uccide un figlio, poi si butta nel burrone con l’altro figlio) e Oroveso, capo dei druidi, condanna il suo amante Pollione non al rogo, ma a vivere col rimorso. Romani, insomma, toglie l’uccisione dei figli perché la censura non avrebbe tollerato una madre che sopprime i propri bambini, così come Rossini non poteva permettersi un Otello nero che strozza una bianca sul palcoscenico. Ma Romani fa di più: toglie il connotato politico. Soumet parla di Galli e di Romani, nell’opera invece i Galli stanno per i fatti loro e i cori guerreschi sono poca cosa rispetto all’architettura generale”.

A chi altri si ispira Romani?

“Per mio modo di vedere, come cercherò di dimostrare stasera, anche a Leopardi. Prendiamo il brano più famoso dell’opera, “Casta diva”, un’invocazione pacificante alla luna, seguita da una cabaletta totalmente diversa per clima e contenuti, quasi in odore di sturm und drang. È un procedimento che ho trovato in almeno nove poesie di Leopardi, tutte note al tempo di Romani. Non dico che ci sia stato un contatto diretto tra i due, ma un poeta vive di poesie, ed è imbevuto del clima letterario del suo tempo”.

Anche Romani aveva ben presente l’ossessione del mito di Medea che attraversa l’Europa tra Sette e Ottocento?

“Parlerò anche di come nasce e si alimenta questa figura mitica e sinistra: citerò la famosa statua di Medea che uccide i figli, conservata nel museo di Arles, il quadro di George Romney “Lady Hamilton as Medea”, ma anche le Medee uscite in quegli anni da Ercolano e Pompei. Tema notissimo, che non a caso finisce anche per influenzare Cherubini con la sua famosa opera, in francese e in italiano”.

Lei quale preferisce tra le due: l’assassina Medea o la suicida Norma?

“Come opera, quella di Cherubini è avanti anni luce, sembra già proiettata nel Novecento. Norma non è così all’avanguardia, ma si fa cantare meglio. E per questo alla fine dico Norma”.

Leggi l’articolo completo qui: https://bologna.repubblica.it/cronaca/2023/03/15/news/vi_racconto_la_norma_travolta_da_un_insolito_destino_il_alessandro_viscogliosi-392208056/

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